Si è diffuso in questi giorni su youtube il video del comico arabo Hishaam Fageeh che prende in giro la protesta delle donne in Arabia Saudita per il diritto alla guida. Il video si basa sulla canzone “No woman, no cry” di Bob Marley, il cui titolo, riadattato si trasforma in “No woman, no drive”. La canzone, servendosi di frasi come “ricordo quando sedevi sul sedile posteriore” oppure “in questo brillante futuro non dimenticare il tuo passato” e incoraggiamenti perché la donna rimanga a casa a cucinare per il marito, vuole ironizzare sulle opinioni purtroppo parecchio diffuse tra i politici più conservatori. In realtà nello stato arabo non vige una vera e propria legge che vieti alle donne di guidare, ma semplicemente le patenti non vengono rilasciate alle donne per via della tradizione. Per protesta il 26 ottobre le donne che hanno conseguito una patente all'estero si sono date appuntamento con l'intenzione di guidare per svolgere le faccende quotidiane, come andare a fare la spesa, o portare i figli a scuola. La polizia locale religiosa ha iniziato a pattugliare le strade per trovare chi trasgredisce la legge, molte donne hanno comunque deciso di sfidare la religione e hanno pubblicato video di loro al volante, per invitare altre donne a fare lo stesso. Molte però non hanno avuto il coraggio di uscire di casa per via di telefonate di uomini che dicevano di essere del ministero e minacciavano rappresaglie.
Quando è stato chiesto a Turki, primo ministro dell'Arabia Saudita, cosa sarebbe successo a chi avesse perseguito con l'intento di manifestare, lui ha risposto che la punizione avrebbe comportato minimo 5 anni di prigione.
La campagna online aveva raccolto oltre 16.000 firme da settembre ed è stata chiusa a metà ottobre. Il parere dei cittadini maschi è uno solo, ed è contro la guida delle donne, per il semplice fatto che non ne hanno bisogno. Le donne possono benissimo andare dove vogliono e sono trattate come regine, insiste anche la canzone sovra citata. Hanno un autista o un uomo che le accompagna. In risposta a questo lo slogan delle donne Saudite è “noi vogliamo guidare perchè non c'è reagione per cui non potremmo farlo”. Anche se la maggior parte dei cittadini si sono espressi dicendo che il re Habdullah non ha contribuito abbastanza a frenare le manifestazioni, egli si è espresso contrario, per il semplice fatto che questo va a ledere la quiete pubblica. Amnesty International è intervenuta in difesa delle donne, considerando la legge religiosa dello stato come una discriminazione, aggiungendo che tutto questo va anche contro la reputazione del re. Nonostante ciò le donne stanno ancora guidando e postando video sui blog di loro al volante, soprattutto grazie al sostegno del blogger Ema Nafjan che ha incoraggiato la rivolta con la frase “la data del 26 ottobre è solo simbolica, le donne hanno già guidato prima e continueranno a guidare”.
Non è la prima volta che le donne in Arabia Saudita manifestano per il diritto alla guida, nel 2011 una donna è stata frustata per aver violato il divieto e nel 1990 molte sono state processate e arrestate e alcune sono state private della loro professione e del passaporto. Ciò che vieta alle donne arabe di guidare non è una vera a propria legge, si tratta dell'interpretazione delle leggi religiose risalenti alla formazione dello stato, in cui si spiega che guidare danneggia ovaie e utero ed è quindi altamente pericoloso per le donne. Gli opinionisti delle televisioni arabe sono rimasti molto toccati dal tema, il famoso dottor Abd Al-Aziz Fawzan Al-Fawzan, critico della cultura occidentale e soprattutto della società Statunitense ha rilasciato un'intervista per Al-majd tv in cui dichiara che il problema fondamentale sta nell'influsso della cultura occidentale, su quella araba. Le donne vanno all'estero in vacanza e vorrebbero imitare il comportamento delle donne occidentali, ma una donna a cui non è permesso neanche di mostrare il proprio volto in pubblico non può assolutamente sperare di poter guidare. Nei Social Network dilagano invece opinioni che sostengono che permettere alle donne di guidare sia il primo passo verso il comunismo e la droga, la corruzione totale quindi dell'intoccabile popolo di Allah. Le donne arabe cercano di imitare il modello occidentale credendo di poter avere così maggiori diritti e di essere più libere. “Nessuna donna al mondo è mai stata più sottomessa della donna occidentale oggi” continua l'opinionista arabo. “Le donne dell'ovest possono guidare, e non hanno mai un uomo che le accompagna, possono lavorare ma in molti paesi il loro stipendio è più basso di quello degli uomini nonostante lavorino di più. Nei paesi occidentali le donne sono mescolate agli uomini, che possono scegliere la donna che preferiscono e con le caratteristiche che più lo aggradano, ma se non possono averla con le buone maniere la violentano. È questo il mondo a cui le nostre donne aspirano. Che strano! Più le donne hanno diritti legalmente, più vengono negati la dignità, l'onore e il rispetto che la nostra tradizione insegna”. La strada per un'apertura verso la cultura occidentale è ancora molto dura per chi è attaccato alla religione o ad un'interpretazione, a volte sbagliata, del testo sacro, considerato che uno degli slogan delle donne è “Dio non dice che non possiamo guidare”, il contrario di ciò che i più conservatori pensano. Ma una cosa che insegna lo studio della cultura araba è mettersi nei panni di chi si sta studiando. Stiamo parlando di una cultura che ha avuto uno sviluppo diverso dal nostro ma parallelo. E forse non è corretto considerare la nostra società come il gradino più alto del processo di evoluzione culturale a cui un giorno arriveranno anche loro. Anni di scuola e catechismo ci hanno portato a credere che la nostra cultura sia quella corretta e più avanzata e che loro abbiano davanti ancora molta strada dal punto di vista dei diritti umani, e probabilmente è davvero così. Ma come secoli di religione cristiana ci hanno portato a pensarla in un certo modo, la stessa cosa è avvenuta anche per loro. È perciò importante almeno comprendere un modo di pensare opposto al nostro che ha giustificazioni nella sua storia, anche se per come siamo stati educati ci sembra sbagliato.