domenica 1 dicembre 2013

Ultimo

Una luce fioca creava un'ombra quasi impercettibile sul parquet. La sua casa era di un'atmosfera quasi spettrale. Ma non erano le lampade antiche, non erano le candele, ne il tramonto quasi passato, a rendere quel posto terribilmente triste e nostalgico. Lo erano le fotografie ingiallite appese alle pareti, lo erano i pacchi di lettere che aveva trovato per terra,appena fuori dalla porta. Non sapeva dire con certezza quanto tempo fosse passato. Non tornava in quel posto da un tempo infinito ormai, neanche lui avrebbe con certezza saputo dire da quanto. E mentre notava come fuori dalla finestra il mondo era rimasto lo stesso, quella casa, era diversa. E la malinconia avvelenava quello che rimaneva del suo spirito. Dare una mano ad un bambino a rialzarsi, curare il ginocchio che si è sbucciato, regalare un sorriso, questo guarisce il tuo cuore. Per un minuto. La tua squadra di calcio che vince dopo tante sconfitte. Due minuti. E quanto può durare un tramonto? L'aveva osservato per intero, senza battere gli occhi, per la prima volta. Seduto sulla poltrona nel salotto, nella casa della sua vita. Inutile credere di poter nuovamente fuggire. Ma davvero la speranza non lascia mai la mente dell'uomo che soffre. Per la prima volta nella sua vita non gli rimaneva nient'altro che aspettare, perchè aveva deciso che quello era il momento, quello giusto. Non ci si poteva aspettare niente di diverso da un uomo come lui. Si era seduto sulla sua poltrona ad attendere. Aveva raggiunto quel momento in cui il sole si vede per metà. Pensò fosse il momento migliore. Cercò un ricordo, nella sua intera vita da associare a quel momento e lo fissò nella mente perché ci rimanesse bene impresso. Ricordava che un giorno aveva incontrato Celine, che il giorno dopo le aveva dato un bacio, era notte e non voleva che lei lo interrompesse, allora l'aveva stretta forte. Lei avrebbe voluto che il sole non fosse mai calato, che non fosse mai tramontato. Sentiva un nodo stringergli la gola. Un ricordo stupendo avvelenato dal rimorso. Come può essere andata davvero come ricordava? Aveva tenuto gli occhi sempre ben aperti per non lasciare andare il tramonto, per tenerlo bene d'occhio. Ora doveva pensare a qualcosa d'altro, qualcosa che rendesse i suoi ultimi momenti meno angoscianti. Cercò quel momento della vita, dove l'uomo ha bisogno di dire grazie, a qualcosa. Cercò il momento in cui dopo aver detto grazie l'uomo sente il bisogno di chiedere che sia per sempre, in cui sente che ha paura ad affidare la sua felicità a qualcosa di astratto, ma deve perchè è troppo grande per essere gestita solo da un uomo. E non trovava quel momento, impossibile che non ci fosse mai stato un momento in cui dire grazie. Scelse quella volta in cui aveva incontrato il piccolo Jeremy. Il suo sorriso era limpido e puro, lui era innocente. Pensò allora al giorno in cui il tempo aveva iniziato a scorrere troppo velocemente, nel giro di un secondo. Il cuore era più veloce, tutto era più veloce ed aveva sentito lo schiamazzare delle sue scarpette nelle pozzanghere, uscivano veloci da quel vicolo, nell'oscurità. Dolore, ancora dolore. Sentiva che stava scomparendo, che la sua misera vita si stava spezzando, che il sole la stava portando via con se. L'ombra era praticamente scomparsa. Ora rimaneva poco più della luce delle candele e delle lampade a olio. Le lancette del Big Ben segnavano le sette e venti. Era settembre, l'inverno non aveva tardato neanche quell'anno. Eppure qualcosa era morto ogni volta. Ad ogni foglia che cadeva. Ad ogni petalo che marciva e morente si lasciava congelare. Portò le mani davanti agli occhi, abbastanza distanti da poterne vedere solo la forma. Erano grosse, erano callose. Erano le mani di un uomo che aveva lavorato sempre da solo. Allora ripensò alla luce rossa davanti a lui, e poi ancora pensò alla luce rossa, nel momento in cui vide Andrea, in quel locale sulla strada. Ripensò a quel colore accecante che non aveva lasciato il cervello ragionare, che l'aveva costretto all'ignoranza e alla confusione. Pensò alle sue mani bagnate dalle lacrime e a quella notte in cui aveva camminato per ore attraverso il parco, aspettando che le sue gambe cedessero, per scoprire che non l'avrebbero mai fatto. Doveva trovare un'altro ricordo felice, non voleva che la sua morte fosse lenta e dolorosa, anche se è così che doveva essere. Nel mondo giusto in cui ogni assassino muore lentamente, non c'è spazio per i bei ricordi. L'ultima volta che era andato ad una festa, si ricordò, aveva conosciuto Veronica. Con lei doveva essere diverso. L'aveva presa per mano e l'aveva portata a casa sua. Voleva che quella notte potesse dimenticarsi dei suoi peccati, di tutto il male che c'era nel mondo fuori da quella casa. E proprio nel letto che ora era dietro di lui sporco di sangue l'aveva lasciata morire. Duravano attimi quei ricordi, ed erano tanti da non riuscire a contenerli. Arriva il giorno in cui la morte ti ringrazia per tutte le persone che le hai donato, e lo fa con un tramonto. Il suo respiro diventava tanto più affannoso quanto era più fioca la luce. Emma aveva i capelli biondi, lavorava in un bar vicino a casa sua. Era stata lei a chiedergli di accompagnarlo al luna park, era molto carina. Così scelse la giostra più alta, lei perse l'equilibrio, non c'era stato nulla che lui avesse potuto fare. Dall'alto vedeva la chioma bionda sporca di fango e di sangue. C'è chi ci lascia troppo presto e c'è chi se ne va troppo tardi. Il suo respiro ora era tanto lento che sentiva la vita scivolargli via dal corpo, ma voleva tenere gli occhi aperti, solo per sentire cosa si provava e per vedere il sole abbandonare per sempre la terra.