Una
luce fioca creava un'ombra quasi impercettibile sul parquet. La sua
casa era di un'atmosfera quasi spettrale. Ma non erano le lampade
antiche, non erano le candele, ne il tramonto quasi passato, a
rendere quel posto terribilmente triste e nostalgico. Lo erano le
fotografie ingiallite appese alle pareti, lo erano i pacchi di
lettere che aveva trovato per terra,appena fuori dalla porta. Non
sapeva dire con certezza quanto tempo fosse passato. Non tornava in
quel posto da un tempo infinito ormai, neanche lui avrebbe con
certezza saputo dire da quanto. E mentre notava come fuori dalla
finestra il mondo era rimasto lo stesso, quella casa, era diversa. E
la malinconia avvelenava quello che rimaneva del suo spirito. Dare
una mano ad un bambino a rialzarsi, curare il ginocchio che si è
sbucciato, regalare un sorriso, questo guarisce il tuo cuore. Per un
minuto. La tua squadra di calcio che vince dopo tante sconfitte. Due
minuti. E quanto può durare un tramonto? L'aveva osservato per
intero, senza battere gli occhi, per la prima volta. Seduto sulla
poltrona nel salotto, nella casa della sua vita. Inutile credere di
poter nuovamente fuggire. Ma davvero la speranza non lascia mai la
mente dell'uomo che soffre. Per la prima volta nella sua vita non gli
rimaneva nient'altro che aspettare, perchè aveva deciso che quello
era il momento, quello giusto. Non ci si poteva aspettare niente di
diverso da un uomo come lui. Si era seduto sulla sua poltrona ad
attendere. Aveva raggiunto quel momento in cui il sole si vede per
metà. Pensò fosse il momento migliore. Cercò un ricordo, nella sua
intera vita da associare a quel momento e lo fissò nella mente
perché ci rimanesse bene impresso. Ricordava che un giorno aveva
incontrato Celine, che il giorno dopo le aveva dato un bacio, era
notte e non voleva che lei lo interrompesse, allora l'aveva stretta
forte. Lei avrebbe voluto che il sole non fosse mai calato, che non
fosse mai tramontato. Sentiva un nodo stringergli la gola. Un ricordo
stupendo avvelenato dal rimorso. Come può essere andata davvero come
ricordava? Aveva tenuto gli occhi sempre ben aperti per non lasciare
andare il tramonto, per tenerlo bene d'occhio. Ora doveva pensare a
qualcosa d'altro, qualcosa che rendesse i suoi ultimi momenti meno
angoscianti. Cercò quel momento della vita, dove l'uomo ha bisogno
di dire grazie, a qualcosa. Cercò il momento in cui dopo aver detto
grazie l'uomo sente il bisogno di chiedere che sia per sempre, in cui
sente che ha paura ad affidare la sua felicità a qualcosa di
astratto, ma deve perchè è troppo grande per essere gestita solo da
un uomo. E non trovava quel momento, impossibile che non ci fosse mai
stato un momento in cui dire grazie. Scelse quella volta in cui aveva
incontrato il piccolo Jeremy. Il suo sorriso era limpido e puro, lui
era innocente. Pensò allora al giorno in cui il tempo aveva iniziato
a scorrere troppo velocemente, nel giro di un secondo. Il cuore era
più veloce, tutto era più veloce ed aveva sentito lo schiamazzare
delle sue scarpette nelle pozzanghere, uscivano veloci da quel
vicolo, nell'oscurità. Dolore, ancora dolore. Sentiva che stava
scomparendo, che la sua misera vita si stava spezzando, che il sole
la stava portando via con se. L'ombra era praticamente scomparsa. Ora
rimaneva poco più della luce delle candele e delle lampade a olio.
Le lancette del Big Ben segnavano le sette e venti. Era settembre,
l'inverno non aveva tardato neanche quell'anno. Eppure qualcosa era
morto ogni volta. Ad ogni foglia che cadeva. Ad ogni petalo che
marciva e morente si lasciava congelare. Portò le mani davanti agli
occhi, abbastanza distanti da poterne vedere solo la forma. Erano
grosse, erano callose. Erano le mani di un uomo che aveva lavorato
sempre da solo. Allora ripensò alla luce rossa davanti a lui, e poi
ancora pensò alla luce rossa, nel momento in cui vide Andrea, in
quel locale sulla strada. Ripensò a quel colore accecante che non
aveva lasciato il cervello ragionare, che l'aveva costretto
all'ignoranza e alla confusione. Pensò alle sue mani bagnate dalle
lacrime e a quella notte in cui aveva camminato per ore attraverso il
parco, aspettando che le sue gambe cedessero, per scoprire che non
l'avrebbero mai fatto. Doveva trovare un'altro ricordo felice, non
voleva che la sua morte fosse lenta e dolorosa, anche se è così che
doveva essere. Nel mondo giusto in cui ogni assassino muore
lentamente, non c'è spazio per i bei ricordi. L'ultima volta che era
andato ad una festa, si ricordò, aveva conosciuto Veronica. Con lei
doveva essere diverso. L'aveva presa per mano e l'aveva portata a
casa sua. Voleva che quella notte potesse dimenticarsi dei suoi
peccati, di tutto il male che c'era nel mondo fuori da quella casa. E
proprio nel letto che ora era dietro di lui sporco di sangue l'aveva
lasciata morire. Duravano attimi quei ricordi, ed erano tanti da non
riuscire a contenerli. Arriva il giorno in cui la morte ti ringrazia
per tutte le persone che le hai donato, e lo fa con un tramonto. Il
suo respiro diventava tanto più affannoso quanto era più fioca la
luce. Emma aveva i capelli biondi, lavorava in un bar vicino a casa
sua. Era stata lei a chiedergli di accompagnarlo al luna park, era
molto carina. Così scelse la giostra più alta, lei perse
l'equilibrio, non c'era stato nulla che lui avesse potuto fare.
Dall'alto vedeva la chioma bionda sporca di fango e di sangue. C'è
chi ci lascia troppo presto e c'è chi se ne va troppo tardi. Il suo
respiro ora era tanto lento che sentiva la vita scivolargli via dal
corpo, ma voleva tenere gli occhi aperti, solo per sentire cosa si
provava e per vedere il sole abbandonare per sempre la terra.