domenica 8 dicembre 2013

La Festa



Prese il bicchierino di plastica con scritto il suo nome e ci versò dentro la Coca Cola fino quasi all'orlo, poi lo portò alla bocca e bevve.
Non facciamo cin-cin?
Scusa hai ragione.
Era quasi l'alba, il venticello fresco dell'estate spostava delicatamente le tende e il cielo passava dal blu della notte ad un azzurro scuro che velava e nascondeva le stelle.
Non mi hai più detto come ti senti.
C'è perfezione nel dolore, c'è costanza, continuità, abbandono. Tu non devi fare nulla, fa tutto lui, per essere felici ci vuole impegno, per soffrire no.
Non credo di essere d'accordo.
È la verità, molti ignorano la forza dell'attesa, ora siamo qui ad aspettare l'alba e io aspetto che non mi siano rimaste più lacrime o che tornino a brillare le stelle nel buio della notte. Non essere in pena per me, non me ne faccio nulla. Mi serve solo che tu sappia che ora io sto così, e fino a che io non ti dirò che è finita, fino a che non ti dirò che è sorto il sole, tu saprai cosa c'è sotto i miei sorrisi, saprai che io sono questo. E basta così, basta che tu lo sappia.
E se io volessi fare qualcosa per aiutarti?
Non puoi, non te lo permetto, non ti permetto di rovinare questo momento di perfezione. Sta accadendo tutto velocemente. Chi potrebbe notare il passare del tempo in pieno giorno, quando la luce illumina tutto per lunghe ore? Ma in questo momento ogni secondo è diverso e prezioso, lo vedi, il sole sta sorgendo.
E noi stiamo impercettibilmente cambiando, stiamo invecchiando amica mia?
Credo siano questi i secondi in cui si invecchia, mentre dormiamo, mentre tutti dormono, non ce ne accorgiamo, ma tu lo puoi vedere ora, che siamo sveglie ad aspettare un altro giorno che nasce, vedi il cambiamento sul mio viso, vedi quest'espressione leggermente diversa? Io su di te la vedo, la vedo sui volti dei nostri compagni addormentati che quando si sveglieranno si vedranno uguali a ieri.
Perchè siamo sveglie? Nessuno assiste mai all'alba d'estate.
I cacciatori che partono presto per cacciare le lepri tra i vigneti, sguinzagliano i cani quando ancora la fioca luce li fa vedere appena, e il panettiere inforna il pane quando ancora la lampada in cucina deve rimanere accesa. Ma loro non si fermano a pensare perchè per loro è solo un giorno che inizia prima, inizia col buio di un mattino invernale. Noi siamo qui sveglie da ieri mattina, per questo momento. So che le palpebre ti diventano pesanti amica, so che sei stanca.
Il mio corpo vorrebbe dormire, ma la mia mente no, vorrei assistere al sole che sorge.
Il sole è già sorto. Guarda bene attraverso la finestra, lo spirito è sempre giovane e sveglio, ma mentre osservi fuori, incontrerai il tuo riflesso nel vetro. Le vedi quelle occhiaie? Siamo vecchie amica mia, ed è arrivato il momento di andare a dormire.

sabato 7 dicembre 2013

La musica dei greci ribelli nel film "Indebito" di Vinicio Capossela




Martedì 3 dicembre è uscito solo per un giorno il film di Vinicio Capossela, diretto da Andrea Segre “Indebito”, in cui il cantautore porta sullo schermo la grave situazione greca raccontata dalle voci dei musicisti dei pub. La loro musica è la loro forma di protesta, si fanno chiamare Rebetes, dal turco “ribelli”.
Il Rebetiko è uno stile musicale greco, risalente ai primi del novecento, si tratta di ballate e canzoni che narrano il disagio dei più emarginati, si parla d'amore, di droga, di povertà e di prostituzione. Come uno dei protagonisti del documentario spiegava, la musica Rebetes si discorda dalla musica pop americana per il fatto che racconta storie vere, in cui un tempo il popolo greco si immedesimava. Si tratta infatti di un nuovo approccio a questo tipo di musica che gli artisti greci contemporanei ripropongono, come forma di protesta alla crisi e per raccontare ancora una volta la storia della loro povertà. Capossela aveva già conosciuto la musica greca con l'uscita dell'ultimo album “Rebetiko Gymnastas” in cui il musicista italiano ripropone in chiave Rebetiko alcuni dei suoi grandi successi. L'album è registrato ad Atene, una delle ambientazioni dove è anche girato il documentario. Le strade tristi e deserte della città sono l'immagine perfetta che accompagna la colonna sonora che è il vero corpo centrale del film. Il documentario è infatti un susseguirsi di canzoni Rebetes cantate e suonate dagli artisti nei bar di Atene, a cui si alternano le loro storie e le loro emozioni, raccontate di musicisti stessi. Mantenere i dialoghi in lingua originale rende più reale la narrazione, ciò che dicono è incomprensibile per qualunque Italiano che non abbia mai studiato la lingua greca per via della totale differenza di lessico e forma, ma il loro tono e la loro espressività che fa sembrare quello che parlano quasi un vecchio dialetto, è rude e reale e aiuta l'immedesimazione nelle loro storie, rende più viva ed affascinante l'atmosfera, ciò che caratterizza davvero questo film. Mentre le canzoni parlano di amori finiti male le inquadrature incontrano i cartelli “affittasi” e “svendita” appesi davanti alle porte dei negozi, e i magnifici panorami della città storica. Il film si presenta come il viaggio di Capossela in Grecia, che come uno studioso annota sul suo diario ogni emozione, profumo o sensazione con cui si imbatte durante il suo girovagare notturno per le strade. Le sue riflessioni accompagnano tutto il film, che non ha bisogno di spiegazioni per via della potenza delle immagini che inquadrano una volta un enorme murales, una volta un venditore di arachidi e noccioline che ne regala un sacchetto a un passante per pochi spiccioli.
Vinicio raccoglie le opinioni della gente comune sulla crisi economica, sul capitalismo, sulla situazione politica. Il crollo economico della Grecia non si ferma alla penisola ma contagerà tutta l'Europa che seguirà il suo esempio verso il declino, questo è quello che l'autore vuole comunicare.
Ma l'opera del cantautore è uno studio dello stile musicale, del loro modo di cantare, degli strumenti musicali che utilizzano. È tutto il frutto dell'incontro tra la cultura occidentale e quella orientale, soprattutto turca, la loro musica, immagine del paese stesso. Ed è mentre sorseggia il denso caffé turco, immagina che esso racconti la sua storia e che in quella miscela si riflettano i suoi pensieri. Ad esempio il fatto che la musica è come il polline, che va di fiore in fiore a cogliere la cultura dei diversi stati e delle diverse nazioni e permette la nascita di nuove canzoni e nuove emozioni.
L'artista canta insieme ai ribelli, accompagnato dal suo piccolo baglamas, lo strumento musicale che i Rebetes nascondevano in prigione, che dice contenere le anime degli antenati Rebetes, che gli trasmettono canzoni di un tempo passato. Il suo diario, il tefteri, quello su cui i negozianti segnano i debiti e il baglamas lo accompagnano per strada, nei bar, sulla spiaggia e sulle colline per tutta la durata del viaggio.

Tutto questo per cercare di pareggiare la voce credito a quella debito nel libretto del “tefteri“, che una volta aperto diventa di chi ci guarda dentro. A quel punto si diventa tutti responsabili, o come diceva De André, si è tutti coinvolti. Perché, per usare le parole di Mistakidis, uno dei nostri “intervistati”, la vera scelta politica oggi non è suonare Rebetiko, ma ascoltarlo.”

Spiega Capossela nelle note d'autore, parlando del film che è stato presentato al cinema Anteo di Milano, in diretta lo stesso 3 dicembre.
Sul finire ripropone “Scivola e vai via” in chiave Rebetiko, già presente nell'ultimo album, con una struggente interpretazione e l'accompagnamento dei musicisti greci. Il film documentario si conclude con le immagini della Grecia dall'alto, con i panorami di colline e rovine di antiche civiltà con sempre come sottofondo il suono delle chitarre e delle armoniche dei greci ribelli.

giovedì 5 dicembre 2013

I doni di Sahah Abbas il grande alla Serenissima



Questo è il titolo della mostra che dal 28 settembre al 12 gennaio occupa la sala dello scrutinio a Palazzo Ducale, Venezia. Il titolo riprende il famoso quadro di Carlo e Gabriele Caliari in cui il doge Marino Grimani riceve gli ambasciatori persiani (1603). All'interno della mostra sono presenti oggetti di vario genere, manoscritti nell'antica lingua ottomana, monete e arazzi.
Questi doni risalgono all'epoca in cui la nostra Venezia intraprendeva una fittissima rete commerciale che interessava tutto il mondo arabo, in particolare con l'impero ottomano e l'impero persiano. La città marinara era spesso mal vista dalle altre città italiane per via dei suoi stretti rapporti con l'oriente.
I rapporti che intraprendeva con la Persia erano soprattutto per contrastare il potente impero ottomano che tutto il mondo temeva. Aveva la fama di essere spregiudicato ed estremamente forte.
All'interno della mostra si possono vedere prodotti che venivano all'epoca venduti sul mercato, come un prezioso planisfero che con la tipica forma a cuore rappresentava tutto il mondo allora conosciuto. Il mare era occupato dalla descrizione fittissima in caratteri dell'ottomano antico dei vari re che allora dominavano il mondo, si trattava di elogi a questi sovrani, che in forma di poesia ne parlavano con epiteti spettacolari. Questo per rendere facile la vendita del prodotto.
Un altro planisfero era risalente ad un epoca precedente a quella che era indicata, spesso infatti modificavano la data per fingere che il planisfero fosse più recente di quello che era in realtà, per poter continuare a venderlo, denotano in ogni caso una grande conoscenza tecnica che permetteva ai mercanti di spostarsi da un porto all'altro del mediterraneo.
La mostra continua con l'esposizione di importanti tappeti persiani, intrecciati da mani di bambine che con le loro dita sottili riuscivano a realizzare precisissimi ricami, perdendo però spesso la vista.
Tra questi, il famoso velluto “la Vergine e l'infante”, dono di Saha Abbas I al doge Marino Grimani.
Sono inoltre presenti testi originali del diciassettesimo secolo che riportano i numerosi scambi commerciali tra l'impero persiano Safavide e la serenissima, scambi che spesso potevano evitare gravi guerre. Come le crociate in epoca precedente vennero spesso contrastate da Venezia che non voleva rivaleggiare con l'importante mercato orientale, con la paura di perdere i propri agganci e la possibilità che da tempo era data ai propri mercanti di rimanere stabili e sicuri in Egitto.
La mostra ci aiuta a comprendere quanto in realtà un mondo che ora crediamo tanto distante dal nostro abbia influenzato in passato l'occidente. Gli scambi commerciali comportavano scambi culturali e non aveva grande importanza la differenza religiosa, quando i contatti con il mondo islamico garantivano un' entrata sicura per Venezia.

Le lunghe lotte con l'impero ottomano non hanno fatto altro che aumentare l'odierno disprezzo dell'occidente verso la civiltà musulmana. Fino ad arrivare a giudicare il mondo islamico come arretrato, in seguito alla sua colonizzazione diventata poi sfruttamento dei pozzi petroliferi. consentita spesso da un tacito accordo con i regimi totalitari islamici che alla luce del sole critichiamo tanto.  

martedì 3 dicembre 2013

Compravendita di sedi universitarie a Venezia: mobilitazione studentesca per la salvaguardia del patrimonio artistico


Il giorno 15 novembre ha avuto inizio la mobilitazione degli studenti Ca Foscarini per fermare la permuta dei tre palazzi storici Ca' Bembo, Ca' Cappello e Palazzo Cosulich con l'edificio più moderno Ca' Sagredo appartenente al Fondo Immobiliare Uno Energia, attualmente dedito ad uffici. Gli studenti non accettano la vendita di edifici di un importante valore artistico e culturale, che sarebbero infatti dati a privati che li trasformerebbero probabilmente in alberghi o alloggi per turisti. Il vero problema sta però nel fatto che il rettore dell'università non ha interrogato ne chiesto l'opinione del personale ca foscarino e del senato accademico come prevede l'articolo 15 dello Statuto di Ca Foscari.
Circolano due diverse versioni su cosa accadde il giorno venerdì 15 novembre quando gli studenti si sono introdotti nella sede del rettorato per poter parlare con il rettore che non si è mai mostrato disponibile a dare spiegazioni. Secondo la versione che lui ha rilasciato ai giornali, gli studenti avrebbero sfondato violentemente le porte per poter entrare. “Si è verificata un'autentica irruzione, nel corso della riunione del C.D.A. (collettivo per la difesa dei beni artistici di Ca' Foscari) da parte di uno sparuto numero di studenti esagitati, entrati di prepotenza dopo aver a lungo picchiato sulla porta fino a sfondarla”. Questo non è quello che ricordano gli studenti coinvolti o quello che traspare da un video realizzato da uno di questi mentre si verificava il fatto. Nel video appare infatti che le porte al momento dell'incursione erano aperte, e gli studenti sono entrati senza violenza. L'atto di violenza sembra essere stato invece compiuto da parte dello stesso rettore che nel momento dell'incursione, probabilmente involontariamente, ha messo le mani attorno al collo di un ragazzo, o l'ha semplicemente urtato al collo. Anche qui le versioni sono discordanti. Fatto sta che il ragazzo si è recato in ospedale e ha dovuto portare un collare per alcuni giorni.
“I miei genitori mi hanno sconsigliato di non sporgere denuncia, il rischio di rimanere fregati è troppo alto, potrei vincere 10.000 euro come perderne il doppio, il rettore ha amici troppo potenti.”
Carlo Carraro, il rettore di Ca Foscari, nega completamente l'avvenimento e non torna sui suoi passi riguardo alla decisione della vendita delle sedi, i cui traffici rimangono ancora oscuri.
Ciò che più lamentano gli studenti è che non si sia preso in considerazione il loro parere, mentre alle assemblee tenute da questi ultimi volano pareri di mancato rispetto della democrazia e dei diritti degli studenti. Anche se l'affare sembra ormai quasi concluso è ancora in corso la petizione su internet e le mobilitazioni studenti non si fermeranno, per proteggere le sedi universitarie a cui essi sono affezionati.
All'assemblea studentesca tenutasi il 19 novembre gli studenti si sono riuniti a discutere su come affrontare il problema e di come fermare la vendita delle sedi. Invitati a presenziare erano anche il presidente del C.D.A. e la giornalista veneziana che ha seguito il caso. Il presidente ha tenuto un discorso in cui metteva in evidenza i danni che la comunità veneziana subirebbe da questa vendita dato l'interesse culturale degli edifici. Sarebbe un danno anche per gli studenti stessi che si vedrebbero togliere circa il 36,6% di spazio. È inoltre in circostanze ancora sconosciute che l'industria disponibile alla vendita del nuovo edificio universitario e il rettore si sono messi d'accordo, infatti, spiega, non sono ancora stati resi pubblici i verbali dell'8 luglio, secondo il rettore per via di un notaio che avrebbe chiesto chiarimenti per cui sarebbe stato necessario rifare il verbale. Si mostra anche indignato del fatto che Carraro non abbia chiesto scusa allo studente per l'eccesso di foga di cui sicuramente si tratta (ovviamente non era intenzione del professore strangolare lo studente). La giornalista allora legge un comunicato arrivatogli per posta, una nota del consiglio di amministrazione sottoscritta da rappresentanti degli studenti e dei professori in cui viene completamente negato l'accaduto e in cui i protagonisti dell'irruzione esprimerebbero solidarietà nei confronti del rettore per le vergognose accuse di cui è vittima. “Nessuno studente è stato aggredito, la violenza è stata nei manifestanti, il rettore e alcuni consiglieri sono stati spintonati da alcuni manifestanti che sono entrati con la forza nella zona in cui si stava tenendo il consiglio di amministrazione, si tratta di un modo di fare ancora più deprecabile, considerata la disponibilità mostrata dall'ateneo, a discutere e spiegare nel merito le decisioni che i suoi organi democratici sono chiamati a prendere, troviamo addirittura inquietanti le falsità espresse da alcuni manifestanti nei giorni successivi, che mistificano la realtà che è del tutto differente. Non è stato compiuto alcun gesto violento nei confronti di nessuno studente.”
Le mobilitazioni continueranno fino a che non verrà annullata la vendita o fino a che gli edifici non saranno venduti, con la speranza che per interesse finanziario non vengano sacrificati edifici storici e artistici, come spesso succede oggi in Italia.

domenica 1 dicembre 2013

Ultimo

Una luce fioca creava un'ombra quasi impercettibile sul parquet. La sua casa era di un'atmosfera quasi spettrale. Ma non erano le lampade antiche, non erano le candele, ne il tramonto quasi passato, a rendere quel posto terribilmente triste e nostalgico. Lo erano le fotografie ingiallite appese alle pareti, lo erano i pacchi di lettere che aveva trovato per terra,appena fuori dalla porta. Non sapeva dire con certezza quanto tempo fosse passato. Non tornava in quel posto da un tempo infinito ormai, neanche lui avrebbe con certezza saputo dire da quanto. E mentre notava come fuori dalla finestra il mondo era rimasto lo stesso, quella casa, era diversa. E la malinconia avvelenava quello che rimaneva del suo spirito. Dare una mano ad un bambino a rialzarsi, curare il ginocchio che si è sbucciato, regalare un sorriso, questo guarisce il tuo cuore. Per un minuto. La tua squadra di calcio che vince dopo tante sconfitte. Due minuti. E quanto può durare un tramonto? L'aveva osservato per intero, senza battere gli occhi, per la prima volta. Seduto sulla poltrona nel salotto, nella casa della sua vita. Inutile credere di poter nuovamente fuggire. Ma davvero la speranza non lascia mai la mente dell'uomo che soffre. Per la prima volta nella sua vita non gli rimaneva nient'altro che aspettare, perchè aveva deciso che quello era il momento, quello giusto. Non ci si poteva aspettare niente di diverso da un uomo come lui. Si era seduto sulla sua poltrona ad attendere. Aveva raggiunto quel momento in cui il sole si vede per metà. Pensò fosse il momento migliore. Cercò un ricordo, nella sua intera vita da associare a quel momento e lo fissò nella mente perché ci rimanesse bene impresso. Ricordava che un giorno aveva incontrato Celine, che il giorno dopo le aveva dato un bacio, era notte e non voleva che lei lo interrompesse, allora l'aveva stretta forte. Lei avrebbe voluto che il sole non fosse mai calato, che non fosse mai tramontato. Sentiva un nodo stringergli la gola. Un ricordo stupendo avvelenato dal rimorso. Come può essere andata davvero come ricordava? Aveva tenuto gli occhi sempre ben aperti per non lasciare andare il tramonto, per tenerlo bene d'occhio. Ora doveva pensare a qualcosa d'altro, qualcosa che rendesse i suoi ultimi momenti meno angoscianti. Cercò quel momento della vita, dove l'uomo ha bisogno di dire grazie, a qualcosa. Cercò il momento in cui dopo aver detto grazie l'uomo sente il bisogno di chiedere che sia per sempre, in cui sente che ha paura ad affidare la sua felicità a qualcosa di astratto, ma deve perchè è troppo grande per essere gestita solo da un uomo. E non trovava quel momento, impossibile che non ci fosse mai stato un momento in cui dire grazie. Scelse quella volta in cui aveva incontrato il piccolo Jeremy. Il suo sorriso era limpido e puro, lui era innocente. Pensò allora al giorno in cui il tempo aveva iniziato a scorrere troppo velocemente, nel giro di un secondo. Il cuore era più veloce, tutto era più veloce ed aveva sentito lo schiamazzare delle sue scarpette nelle pozzanghere, uscivano veloci da quel vicolo, nell'oscurità. Dolore, ancora dolore. Sentiva che stava scomparendo, che la sua misera vita si stava spezzando, che il sole la stava portando via con se. L'ombra era praticamente scomparsa. Ora rimaneva poco più della luce delle candele e delle lampade a olio. Le lancette del Big Ben segnavano le sette e venti. Era settembre, l'inverno non aveva tardato neanche quell'anno. Eppure qualcosa era morto ogni volta. Ad ogni foglia che cadeva. Ad ogni petalo che marciva e morente si lasciava congelare. Portò le mani davanti agli occhi, abbastanza distanti da poterne vedere solo la forma. Erano grosse, erano callose. Erano le mani di un uomo che aveva lavorato sempre da solo. Allora ripensò alla luce rossa davanti a lui, e poi ancora pensò alla luce rossa, nel momento in cui vide Andrea, in quel locale sulla strada. Ripensò a quel colore accecante che non aveva lasciato il cervello ragionare, che l'aveva costretto all'ignoranza e alla confusione. Pensò alle sue mani bagnate dalle lacrime e a quella notte in cui aveva camminato per ore attraverso il parco, aspettando che le sue gambe cedessero, per scoprire che non l'avrebbero mai fatto. Doveva trovare un'altro ricordo felice, non voleva che la sua morte fosse lenta e dolorosa, anche se è così che doveva essere. Nel mondo giusto in cui ogni assassino muore lentamente, non c'è spazio per i bei ricordi. L'ultima volta che era andato ad una festa, si ricordò, aveva conosciuto Veronica. Con lei doveva essere diverso. L'aveva presa per mano e l'aveva portata a casa sua. Voleva che quella notte potesse dimenticarsi dei suoi peccati, di tutto il male che c'era nel mondo fuori da quella casa. E proprio nel letto che ora era dietro di lui sporco di sangue l'aveva lasciata morire. Duravano attimi quei ricordi, ed erano tanti da non riuscire a contenerli. Arriva il giorno in cui la morte ti ringrazia per tutte le persone che le hai donato, e lo fa con un tramonto. Il suo respiro diventava tanto più affannoso quanto era più fioca la luce. Emma aveva i capelli biondi, lavorava in un bar vicino a casa sua. Era stata lei a chiedergli di accompagnarlo al luna park, era molto carina. Così scelse la giostra più alta, lei perse l'equilibrio, non c'era stato nulla che lui avesse potuto fare. Dall'alto vedeva la chioma bionda sporca di fango e di sangue. C'è chi ci lascia troppo presto e c'è chi se ne va troppo tardi. Il suo respiro ora era tanto lento che sentiva la vita scivolargli via dal corpo, ma voleva tenere gli occhi aperti, solo per sentire cosa si provava e per vedere il sole abbandonare per sempre la terra.